SULLE FIGURE DI FRA MICHELANGELO JERACE (DI DOMENICO) E DI PASQUALE LO PRETE, CARBONARI POLISTENESI IN SICILIA. di GIOVANNI RUSSO

 

Sulle figure di fra Michelangelo Jerace (di Domenico) e di Pasquale Lo Prete, carbonari polistenesi in Sicilia.

 di GIOVANNI RUSSO

 Nell'accennare ai vari personaggi della famiglia Jerace, distintisi in vari rami, non sfuggì al Frangipane[1] un accenno alla figura del frate Michelangelo Jerace, del convento dei Minori Osservanti:

"Sappiamo che, impoverita nel 1783 [Polistena], essa mai non decadde nell'estimazione dei suoi uomini ingegnosi e liberali, e che fra questi, nel mattino sanguinoso del secolo scorso, portò la palma del martirio politico quel dotto frate Michelangelo dei Minori che, dopo aver insegnato in Sicilia, finì nell'esilio di Bolsena come carbonaro". 

L'esilio di fra Michelangelo, però, come vedremo avanti, è avvenuto nella direzione di Livorno nel 1819.

Fra Michelangelo, andato via da Polistena, lo ritroviamo, nel 1819, nel convento dei Minori Osservanti di Caltagirone, ove non smesse la sua indole politica, anzi, non perse occasione per aderire ad una setta carbonara. Quella di Caltagirone fu la prima nell'isola ad essere stata scoperta e la successiva istruzione del processo permise alle autorità di carpirne i meccanismi di aggregazione, i linguaggi comunicativi ed i suoi fini ultimi. Dopo quasi due mesi di febbrili indagini, il 26 febbraio 1819, Antonio Franco, giudice della Gran Corte Civile di Palermo, inviato a Caltagirone nella qualità di Commissario all'oggetto di fare arrestare i rei e compilare un esatto processo, dirigeva al Duca di Gualtieri (cui il Governo aveva affidato l'esercizio provvisorio delle funzioni di Luogotenente generale), una assai particolareggiata relazione, nella quale rispondeva esaurientemente ai tre incarichi ricevuti. Dalla relazione, edita dal Labate[2] da cui cercheremo di estrapolare solamente le parti relative ai due polistenesi fra Michelangelo da Polistena e Domenico Lo Preti, così viene descritta la setta (vera e propria forma di Massoneria):

"La sètta dè Carbonari consiste nell'unione di più individui, che, chiamandosi Buoni Cugini, si obbligano con giuramento di non rivelare il secreto, di rispettare le regole della Carboneria, di aiutarsi fra loro in caso di bisogno, e tutto ciò sotto pena d'essere tagliati a pezzi ed inceneriti in una fornace. Questa setta, come qualunque altra, che di mistero si cuopre, ha dè gradi, il primo dè quali dicesi di Apprendente, il secondo di Maestro, il terzo è chiamato Primo Simbolico, il quarto Alta Luce, e così progressivamente..."

Il tutto era regolato dai diversi "catechismi" rinvenuti fra le carte degli inquisiti. Ma il vero oggetto della setta fu il Quarto Grado, o sia Secondo Simbolico colle parole di riconoscenza dette sacre, e colla nuova formula di giuramento. Il Franco le aveva tratte da un libretto che portava per titolo "Regolatore di una vendita" (vendita, nel loro linguaggio, significò unione) che era presso il sacerdote don Luigi Oddo, e che egli ha legalmente riconosciuto. Esse erano "libertà o morte - giuro segreto, giuro fedeltà, e giuro di consecrare la mia vita per l'uguaglianza ed indipendenza nazionale - morire per la libertà e l'eguaglianza - bisogna avere nel cuore la libertà - giuro odio eterno ai tiranni, e per la libertà morire. - E nel giuramento, che si dà per il passaggio al quarto grado, si promette di avvalersi delle circostanze favorevoli per ritornare all'Uomo la libertà tolta".  La conoscenza della Carboneria si ebbe per la prima volta in Caltagirone ed in Pietraperzia, per mezzo del sacerdote don Luigi Oddo di Francesco, allorchè, nel 1815, dalla Calabria passò in Sicilia, avviando una vera e propria opera di proselitismo. Tra le persone processate dal Franco, che furono al di là delle cinquanta, figurò anche il polistenese fra Michelangelo da Polistena che ebbe il ruolo di Assistente. Due degli altri arrestati, "ebbero lettera commendatizia dal padre Michelangelo per un calabrese abitante in Terranova [di Sicilia], di nome Domenico Lo Preti, antico Carbonaro ricevuto in Calabria, e che fu molto tempo al servizio di Bonaparte e di Murat". Il Lo Preti (o Lo Prete), anch'egli di Polistena ed anche processato dal Franco, unitamente ai due raccomandati, iniziò, in quell'occasione, tale don Giuseppe Gattuti. Fu lo stesso Lo Preti ad ammetterlo di fronte alle pressioni del Franco. "Finalmente il giorno undici novembre arrivarono in Caltagirone il padre Conti, il Dentista e Oddo, che albergarono nell'ospizio dè Minori Osservanti, ove solo abitava il padre Michelangelo. Tutti concorsero i Carbonari di questa a prestare i loro omaggi. A molti di essi conferì il padre Conti il secondo grado di maestro, previo il giuramento; e conosciuto avendo più intendimento e più zelo nel barone Cameni, in don Ignazio Aprile, nel reggente Mineo e nel padre Michelangelo, conferì loro il terzo grado, o sia Primo Simbolico, dandogli il Diploma corrispondente...".

Dopo l'arresto dell'Oddo e di padre Michelangelo, molti congressi si tennero in casa del barone Cameni. Circa il rinvenimento del manoscritto sedizioso, il Franco così continuò nella sua relazione: "Giusta le apparenze, ne sarebbe l'autore il padre Michelangelo, perciocchè fu rinvenuto fra le sue carte, ed è tutto di suo carattere. Ma veramente fu autore del medesimo don Gaetano Abela di Siracusa, uomo d'irregolare condotta, che per tredici anni servì la Francia in impieghi militari e civili, che fu aggregato in Calais alla sètta dei Massoni, e che trovandosi nella truppa francese col grado di capitano concorse all'occupazione militare di Napoli. Io accennai sopra il  passaggio per questa di Caltagirone nel passato aprile di don Giuseppe Abela suo fratello, e la promessa d'istruzioni a carte fatta a questi fanatici per organizzarsi. Avvenne che in maggio si portò in Siracusa il chierico don Pietro Interlandi per la sua sacra ordinazione. Questi a nome degli amici di Caltagirone sollecitò la promessa; ma siccome don Gaetano Abela  non aveva pronte le carte, si convenne che l'avrebbe portato lui stesso in Lentini in un giorno designato, purchè avesse ivi trovato gli amici. Saputa qui la risposta di Abela, si fissò di mandare il padre Michelangelo, il quale conferì in Lentini con don Gaetano Abela, ebbe da lui un libretto d'istruzioni, e di più il manoscritto sedizioso per leggerlo in Caltagirone e restituirlo. Qui infatti si cominciò a leggere in una adunanza di otto amici, ma non erano tutti della istessa malizia e pravità, onde lo scritto fu disapprovato. Il padre Michelangelo ne fece copia per sè, e passò l'originale a don Pietro Interlandi, da cui l'ebbe don Ignazio Aprile, il quale se lo trattenne, e per ciò si disse essere stato bruciato. Tutti i passaggi che ho riferito, hanno in processo le loro prove. Vi sono le confessioni di don Giuseppe Abela, di don Pietro Interlandi, del padre Michelangelo e di altri tre di coloro che l'intesero leggere e lo disapprovarono. Vi sono di più le deposizioni del vetturino, che portò in Lentini il padre Michelangelo, del locandiere di Lentini e del suo garzone: e finalmente vi è la confessione dell'istesso don Gaetano Abela, che ha riconosciuto la copia del manoscritto, fatta dal padre Michelangelo e rinvenuta fra le sue carte, essere perfettamente conforme all'originale da lui composto, e l'ha controsegnata con la sua firma di pagina in pagina....".

Circa le misure adottate dal Governo, è lo stesso Franco ad indicarcele in alcuni suoi Ricordi autobiografici. Il Franco, come abbiamo già indicato, oltre ad essere giudice della Curia civile e criminale, era stato inviato quale Commissario Generale in Caltagirone per scoprire gli autori e complici di una setta di Carbonari, ivi stabilita, e per individuare l'autore dello scritto sediziosissimo che attaccava la legittimità della Dinastia dè Borboni in Sicilia. Dal frammento autobiografico del Franco, il Labate concluse che i capi vennero condannati all'esilio. Sulla fine di luglio, infatti, sullo sciabecco di capitan Calogero Giardina, venne imbarcato per Livorno il pistoiese Sestini, con altri sei esiliati dal Regno delle Due Sicilie: sac. Luigi Oddo, padre Michelangelo da Polistena, Domenico Lo Preti, Salvatore Moscato, Antonio Arcurio e Cesare Becciani, ai quali era stata già "rispettivamente rilasciata l'ordinaria intima dell'esilio per R. Rescritto dè 31 maggio 1819. Il Labate, in calce alla pagina 22, precisa che: "A questi esuli si riferisce certamente l'accenno contenuto in una nota di G. Scaramella, Spirito pubblico, società segrete e polizia in Livorno dal 1815 al 1821, Roma, Società ed. Dante Alighieri, 1901, p. 61, n. 9, in Bibl. Stor. del Risorg. ital., serie III, n. 3".

Altra fonte che ci permette, oggi, di conoscere ulteriori notizie sui carbonari polistenesi: fra Michelangelo, Domenico e Pasquale Lo Prete, è lo scritto di Nino Cortese[3] che, alla luce di carte dell'Archivio di Stato di Napoli, integrano i documenti già utilizzati dal Labate. Nella corrispondenza, infatti, tra Carlo Avarna duca di Gualtieri ed il re, il Cortese ha potuto rinvenire numerose notizie sulle prime scoperte di carbonari. In seguito ad un'ispezione, in quel di Caltagirone, erano stati arrestati il sacerdote Oddo e padre Michelangelo da Polistena.

"A Fra Michelangelo di Polistina erano state sequestrate le seguenti carte: "Due libretti in quarto mss. che portano entrambi il titolo di "Stabilimenti per l'ammissione di un buon cugino carbonaro in grado di apprendere". - Altro libretto simile intitolato: "Catechismo di un buon cugino carbonaro in grado di apprendere". - Altro simile intitolato "I travagli dè buoni cugini carbonari nel grado di apprendente". - Un mezzo foglio di carta ms. titolato: "1o Assistente per l'apertura de' travagli". - Altro simile titolato: "1o grado sublime cavaliere di Tebe, o sia del sangue di S. Teubaldo".

Presso lo stesso Fra Michelangelo si erano trovate altre carte "sospette":

"Un notamento in cui si descrivono quali devono essere gli uffiziali della loggia o sia il locale della radunanza, quale la tavola de' travagli, quale il modo di travagliare ed altro. - Un diploma spedito ad esso Fra Michelangelo di Polistina dal Padre Vincenzo Conti fondatore maggiore della rispettabile Carboneria in persona di detto Padre Fra Michelangelo in terzo grado di cavaliere di Tebe vergato a 26 del sole di novembre anno della verità 1818. - Un manuscrittu in undici pagine di carattere del Padre Michelangelo di Polistina che contiene sentimenti rivoluzionari abominevoli ed empi. Un mezzo foglio manuscritto in cui si legge una declamazione contro i monarchi e suoi ministri. - Copia del Paternostro repubblicano".

Il seguente 21 dicembre l'Avarna riferì che erano continuati gli interrogatori dei due arrestati. Padre Michelangelo dopo molte insistenze aveva detto che l'originale "rivoluzionario ed insolente" trovato fra le sue carte gli era stato dato da Giuseppe Abela di Siracusa, il quale gli aveva detto che apparteneva a suo fratello Gaetano".

A conclusione delle indagini condotte dal commissario generale Don Antonino Franco, giudice della seconda Commissione provvisoria di Palermo, vi furono 28 arresti, (fra cui il Fra Michelangelo di Polistena), mentre 24 furono i fuggiaschi.

Preziosissimo è il contributo di Nino Cortese che non ha mancato di riportare le schede dei principali inquisiti e, tra queste, quelle di Padre Michelangelo di Polistena (nato, probabilmente nel 1767) e di Domenico Lo Prete (nato, forse nel 1760). Nella seconda scheda, vi sono notizie relative anche a Pasquale Lo Prete, fratello di Domenico).

 

Al n. 5 (da p. 212 a 215) così è quella del frate polistenese:

 

"Padre Michelangelo da Polistina de' Minori Osservanti, d'anni 52, lettore di Grammatica ed Umanità nelle Scuole Normali di Caltagirone. In arresto. Zelante carbonaro della setta di Caltagirone, che pervenne sino al terzo grado, indagatore ed apprezzatore di qualunque carta sidiziosa. Nel 1815 fu iniziato carbonaro dal sacerdote Don Luigi Oddo e diede il giuramento. Insieme con Oddo s'impegnò a far proseliti in Caltagirone, abusando del suo carattere di precettore ed apprestando per le adunanze l'ospizio del suo convento, ove egli solo albergava. In quest'ospizio seguì l'altercazione con Don Michele Chiaramonte, che non volle compire il giuramento, per cui Oddo, dubitando di denunzia, partì per la Calabria; ed egli lo richiamò con sua lettera, avvisandolo ch'era tutto. In dicembre dello stesso anno, essendo arrivato in Caltagirone Domenico Lo Prete calabrese, ch'era stato ricevuto carbonaro in Polistina, si manifestò col medesimo d'essere anch'egli carbonaro, e volle meglio informarsi de' segni e delle parole di riconoscenza. Fu nel congresso tenuto da Don Giuseppe Abela di Siracusa, allorchè in aprile 1818 passò da Caltagirone. Quindi, nel seguente maggio, aderendo alla proposta degli amici settari, si portò in Lentini per trovarvi Don Gaetano Abela e ricevere da lui istruzioni e carte per l'organizzazione della setta. Siccome il detto Abela, poco prima del suo arrivo, era partito per Siracusa, mandò per raggiungerlo il suo vetturino ed il garzone della locanda in cui aveva alloggiato. Quello difatti tornò e diedegli un libretto che conteneva le istruzioni di massoneria. Fecegli pure vedere l'infame scritto sedizioso che comincia: "Il primo stato degli uomini", e finisce: "e più barbara delle cinque precedenti". Di questo scritto ne lessero assieme alcune pagine; ma, essendo Abela premurato a partire, egli se lo fece dare per leggerlo interamente in Caltagirone e rimandarglielo. Con effetto, appena tornato in Caltagirone si diede la premura di leggerlo nella sua camera e, quantunque ne avesse conosciuta la malvagità, vedendolo diretto contro la Sacra Persona ed i sacri dritti del Re, Nostro Signore, pure la sera stessa lo portò in casa del barone di Camemi per farlo noto ai suoi amici settari, ch'erano ivi riuniti. Lo cominciò a leggere; ma perchè non aveva chiara la pronunzia e troppo lungo era lo scritto, gli diede una scorsa Don Ignazio Aprile anche saltando molte pagine, a fine di scoprirne l'oggetto. I più degli astanti, non del tutto depravati, lo rigettarono; ed egli, il frate, desideroso di possederlo, diedesi la pena di farne copia di suo carattere. In questo tempo lo fece leggere al reggente Mineo ed al barone di Camemi, che a tal fine si portarono in sua camera. Restituì quindi l'originale a Don Pietro Interlandi, da cui l'ebbe Don Ignazio Aprile, ed intanto scrisse ad Abela che le sue carte non si erano volute accettare. Questi rispose con espressioni allegoriche che mostrano la secreta intelligenza che vi era fra loro. Premuroso di rinnovare la Carboneria in Caltagirone, fece venire da San Michele il sacredote Oddo, che soleva ogni volta albergare nel suo ospizio, cui mostrò un catechismo che aveva ricevuto da Don Salvatore Interlandi; e quantunque Oddo, ricordandosi del fatto di Chiaramonte, non si fosse allora prestato, egli pure unitamente al barone di Camemi e reggente Mineo associarono diverse persone e combinarono la maniera di tenere le unioni e di eseguire i cosi detti "travagli", facendo uso delle loro antiche nozioni, del riferito catechismo di Carboneria e dell'altro di Massoneria ricevuto da Abela. Venuto in ottobre il poeta estemporaneo Sestini, gli si fece amico, come pure col dentista sedicente Orazio Leone, e non tardò a manifestarsi carbonaro, entrando in discorso di Carboneria. Intervenne nei due congressi tenuti in casa del barone di Camemi, anzi davasi la premura di farne avvisati i compagni. In uno di questi congressi prestò in ginocchio il nuovo giuramento alla presenza de' tre carbonari Sestini, Leone e Oddo, avendo avuto l'impiego di primo assistente. Applaudì cogli altri alla prosa recitata da Sestini in favore delle repubbliche e contro il governo monarchico; e, siccome aveva Sestini, una carta che conteneva i segni per distinguere i Calderari contrari ai Carbonari, fu sollecito di farsene la copia. Dovendo partire per Terranova il dentista Leone e l'oculista dottor Fasani, gli fece lettera commendatizia per il calabrese Domenico Lo Prete colà residente, avvisandolo d'essere ambidue carbonari. Egli intanto, informato da Oddo che, raccogliendosi oncie venti, si sarebbe fatto venire in Caltagirone il padre Conti, di grande autorità nella Carboneria, usò tutti i suoi mezzi per riuscirvi. Diedesi anche l'impegno di far comparire bene addestrata la società di Caltagirone; a quale oggetto, tenuti più frequenti i congressi e preparati tutti gli emblemi della setta, tolse alle istituzioni la parte d'ognuno, a seconda del proprio impiego, e la scrisse in diversi pezzetti di carta, che ogni volta distribuiva per farla più facilmente imparare. In novembre giunse il padre Conti in compagnia del dentista, e furono alloggiati da lui nell'ospizio. Vi alloggiò pure Oddo, che venne l'indomani. La Carboneria era quasi sempre il soggetto dei loro discorsi; e siccome aveva il padre Conti istruzioni e catechismi relativi alla stessa, così egli con molta pazienzasi diede a farne le copie. Dissegli il padre Conti che dovevano tutti ratificare il giuramento nelle sue mani per essere promossi al grado di "maestro", ed egli ne passò l'avviso a chiunque vidde de' soci. La funzione si fece nella di lui camera da ciascheduno separatamente, compreso lui, che pure rinnovò il giuramento, ricevendo così il secondo grado e la corrispondente istruzione tratta dal catechismo. Due congressi si tennero in casa del barone di Camemi, onde mostrare il loro addestramento nell'eseguire i travagli. Era la stanza ordinata con tutti gli emblemi della setta, ciascheduno al suo posto, ed egli, come primo assistente, stava seduto vicino l'ingresso con tavola innanzi a sé e per emblema una scure di latta. Sopraggiunse il padre Conti accompagnato dal dentista, il quale, avendo bussato la porta alla maniera dei carbonari, fu ricevuto colle cerimonie e riti prescritti dalle istruzioni, e si diede principio ai travagli. Tutto meritò la compiacenza del padre Conti. Si fissò da costui il titolo di quella vendita chiamandola "I vigilanti all'Ordone di Caltagirone", e si designò il gallo per insegna. Quindi diedero tutti altro giuramento. Fu promosso dal padre Conti al terzo grado di Carboneria, o sia primo simbolico, e fu informato dei segni, toccamenti e parole "d'alta luce" corrispondenti a tal grado; come pure ebbe dato il diploma che attestava la dignità a lui conferita. Non ebbe però il catechismo del terzo grado, in cui si contiene la diversa spiega degli emblemi della setta. Partito il padre Conti, intervenne egli in altri due congressi che si tennero in casa del barone di Camemi. Fu poi arrestato il giorno 9 dicembre, e nella sua camera furono trovate dagli uffiziali di giustizia diverse carte. altre sediziose, altre relative a setta: le quali, annotate nella collaterale colonna, mostrano il suo genio torbido e pravo".

 

Al n. 12 (pag. 217), l'altra scheda:

 

"Domenico Lo Prete di Polistina e [sic] dal 1816 abitante in Terranova, ora fa il caffettiere, d'anni 49. Fu al servizio francese nella guerra di Spagna e nella campagna di Mosca. Servì sotto l'occupazione militare in Napoli, e fu nell'ultima campagna d'Italia contro le armi imperiali austriache. Antico carbonaro calabrese, che fece de' soci in Terranova. Cessata l'occupazione militare di Napoli, si portò in Polistina sua patria, ove da suo fratello Pasquale Lo Prete[4] carbonaro e che aveva impiego nella setta, fu iniziato nella Carboneria avendo prestato il giuramento. Dopo lo scioglimento dell'armata passò in Sicilia e fece conoscenza in Caltagirone col padre Michelangiolo fratel cognato del di lui fratello. Si manifestarono entrambi carbonari; tennero discorsi di Carboneria; ma egli poi partì per Terranova. Verso la fine dello scorso ottobre 1818 ebbe lettera dal padre Michelangiolo, in cui gli raccomandava un dentista ed un oculista designandoli per due carbonari, e tali egli, li riconobbe per i discorsi. Tutti e tre insieme iniziarono Don Giuseppe Cattuti, facendogli dare il giuramento e firmare una carta, in cui eravi delineata la Croce. Partiti il dentista e l'oculista, strinse amicizia con Don Biagio Cucurullo positanese, che anch'egli era carbonaro ed aveva un catechismo. Quindi egli, Cucurullo e Cattuti, premurosi di fondare in Terranova una Vendita di Carboneria, iniziarono Don Saverio Moscato, Don Vincenzo Morelli, Don Angelo Avvocato. Ognuno di essei prestò il giuramento, e la funzione facevasi in una camera segreta della sua bottega di caffè. L'avere inteso dopo pochi giorni l'arresto in Caltagirone del padre Michelangiolo non gli fece compire il numero di sette carbonari, quanti ne abbisognano per fondare una Vendita".

 

Alla luce dei su esposti documenti, è chiaro che, a Polistena, già prima del 1815, operò una "Vendita" di carbonari cui aderirono, tra gli altri, i due fratelli: Pasquale e Domenico Lo Prete che affiancarono, probabilmente, Domenico Valensise, di Michele Maria e di Eugenia Gagliardi, nato a Polistena il 28 marzo 1791, che varie fonti, tra cui Vincenzo De Cristo[5] non mancarono di indicarlo, quale “capo della carboneria” o “carbonaro repubblicano”. Per formare una "Vendita", come si sa, era necessaria la presenza di almeno 7 persone. Non conosciamo, al momento, i nomi di tutti gli altri adepti carbonari polistenesi. Nel settore "polizia", l'azione del Governo fu soprattutto rivolta alla lotta contro le società segrete: Massoneria, Carboneria e setta dei Calderari. Alla Carboneria polistenese che aspirava ad un regime costituzionale, avranno aderito non solo elementi della borghesia terriera, ma anche del ceto intellettuale. Ma di questo ci occuperemo in altra sede.

 



[1] A. FRANGIPANE, Francesco Jerace. Messina, La Sicilia, 1924, pp. 7-8.

[2] V. LABATE, Un decennio di carboneria in Sicilia (1821-1831), narrazione storica di Valentino Labate. Roma-Milano, Società Editrice Dante Alighieri di Albrighi, Segati & C, 1904, pp. 1-25.

[3] N. CORTESE, L'Abela e la carboneria siciliana nel 1819, in "Nuovi Quaderni del Meridione" A. IX - N. 34 - Aprile-Giugno 1971, pp. 206-228. Ringrazio, per avermi concesso copia di tale scritto, l'Avv. Raffaele Bonsignore, Segretario Generale della Fondazione Banco di Sicilia di Palermo, nonchè il personale addetto alla Biblioteca della stessa.

[4] Potrebbe trattarsi di Pasquale Loprete, di Pietro e di Cutano Costanza, morto a Polistena il 24 maggio 1867. Di Domenico Lo Prete, invece, non figura, nei registri dello Stato Civile di Polistena, alcuna registrazione di morte. E' ipotizzabile che lo stesso potesse essere rimasto in Sicilia ove, probabilmente, morì.

[5] V. DE CRISTO, La caduta di Gioacchino Murat e l'insurrezione della Calabria ulteriore nel 1815 poste in luce su documenti inediti per Vincenzo De Cristo. Cosenza, Tip. della "Cronaca di Calabria", 1905.

Pubblicato in L'ALBA DELLA PIANA, Agosto 2018, pp. 13-16.

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