SULLE FIGURE DI FRA MICHELANGELO JERACE (DI DOMENICO) E DI PASQUALE LO PRETE, CARBONARI POLISTENESI IN SICILIA. di GIOVANNI RUSSO
Sulle figure di fra
Michelangelo Jerace (di Domenico) e di Pasquale Lo Prete, carbonari polistenesi
in Sicilia.
"Sappiamo che, impoverita nel 1783 [Polistena], essa mai non decadde nell'estimazione dei suoi uomini ingegnosi e
liberali, e che fra questi, nel mattino sanguinoso del secolo scorso, portò la
palma del martirio politico quel dotto frate Michelangelo dei Minori che, dopo
aver insegnato in Sicilia, finì nell'esilio di Bolsena come carbonaro".
L'esilio di fra
Michelangelo, però, come vedremo avanti, è avvenuto nella direzione di Livorno
nel 1819.
Fra Michelangelo,
andato via da Polistena, lo ritroviamo, nel 1819, nel convento dei Minori
Osservanti di Caltagirone, ove non smesse la sua indole politica, anzi, non
perse occasione per aderire ad una setta carbonara. Quella di Caltagirone fu la
prima nell'isola ad essere stata scoperta e la successiva istruzione del
processo permise alle autorità di carpirne i meccanismi di aggregazione, i
linguaggi comunicativi ed i suoi fini ultimi. Dopo quasi due mesi di febbrili
indagini, il 26 febbraio 1819, Antonio Franco, giudice della Gran Corte Civile
di Palermo, inviato a Caltagirone nella qualità di Commissario all'oggetto di
fare arrestare i rei e compilare un esatto processo, dirigeva al Duca di
Gualtieri (cui il Governo aveva affidato l'esercizio provvisorio delle funzioni
di Luogotenente generale), una assai particolareggiata relazione, nella quale
rispondeva esaurientemente ai tre incarichi ricevuti. Dalla relazione, edita
dal Labate[2]
da cui cercheremo di estrapolare solamente le parti relative ai due polistenesi
fra Michelangelo da Polistena e Domenico Lo Preti, così viene descritta la
setta (vera e propria forma di Massoneria):
"La sètta dè Carbonari consiste
nell'unione di più individui, che, chiamandosi Buoni Cugini, si obbligano con
giuramento di non rivelare il secreto, di rispettare le regole della
Carboneria, di aiutarsi fra loro in caso di bisogno, e tutto ciò sotto pena
d'essere tagliati a pezzi ed inceneriti in una fornace. Questa setta, come
qualunque altra, che di mistero si cuopre, ha dè gradi, il primo dè quali
dicesi di Apprendente, il secondo di Maestro, il terzo è chiamato Primo
Simbolico, il quarto Alta Luce, e così progressivamente..."
Il tutto era
regolato dai diversi "catechismi" rinvenuti fra le carte degli
inquisiti. Ma il vero oggetto della setta fu il Quarto Grado, o sia Secondo
Simbolico colle parole di riconoscenza dette sacre, e colla nuova formula di
giuramento. Il Franco le aveva tratte da un libretto che portava per titolo "Regolatore di una vendita" (vendita,
nel loro linguaggio, significò unione) che era presso il sacerdote don Luigi
Oddo, e che egli ha legalmente riconosciuto. Esse erano "libertà o morte - giuro segreto, giuro
fedeltà, e giuro di consecrare la mia vita per l'uguaglianza ed indipendenza
nazionale - morire per la libertà e l'eguaglianza - bisogna avere nel cuore la
libertà - giuro odio eterno ai tiranni, e per la libertà morire. - E nel
giuramento, che si dà per il passaggio al quarto grado, si promette di
avvalersi delle circostanze favorevoli per ritornare all'Uomo la libertà
tolta". La conoscenza della
Carboneria si ebbe per la prima volta in Caltagirone ed in Pietraperzia, per
mezzo del sacerdote don Luigi Oddo di Francesco, allorchè, nel 1815, dalla
Calabria passò in Sicilia, avviando una vera e propria opera di proselitismo.
Tra le persone processate dal Franco, che furono al di là delle cinquanta,
figurò anche il polistenese fra Michelangelo da Polistena che ebbe il ruolo di
Assistente. Due degli altri arrestati, "ebbero
lettera commendatizia dal padre Michelangelo per un calabrese abitante in
Terranova [di Sicilia], di nome
Domenico Lo Preti, antico Carbonaro ricevuto in Calabria, e che fu molto tempo
al servizio di Bonaparte e di Murat". Il Lo Preti (o Lo Prete),
anch'egli di Polistena ed anche processato dal Franco, unitamente ai due
raccomandati, iniziò, in quell'occasione, tale don Giuseppe Gattuti. Fu lo
stesso Lo Preti ad ammetterlo di fronte alle pressioni del Franco. "Finalmente il giorno undici novembre
arrivarono in Caltagirone il padre Conti, il Dentista e Oddo, che albergarono
nell'ospizio dè Minori Osservanti, ove solo abitava il padre Michelangelo.
Tutti concorsero i Carbonari di questa a prestare i loro omaggi. A molti di
essi conferì il padre Conti il secondo grado di maestro, previo il giuramento;
e conosciuto avendo più intendimento e più zelo nel barone Cameni, in don
Ignazio Aprile, nel reggente Mineo e nel padre Michelangelo, conferì loro il
terzo grado, o sia Primo Simbolico, dandogli il Diploma corrispondente...".
Dopo l'arresto
dell'Oddo e di padre Michelangelo, molti congressi si tennero in casa del
barone Cameni. Circa il rinvenimento del manoscritto sedizioso, il Franco così
continuò nella sua relazione: "Giusta
le apparenze, ne sarebbe l'autore il padre Michelangelo, perciocchè fu
rinvenuto fra le sue carte, ed è tutto di suo carattere. Ma veramente fu autore
del medesimo don Gaetano Abela di Siracusa, uomo d'irregolare condotta, che per
tredici anni servì la Francia in impieghi militari e civili, che fu aggregato
in Calais alla sètta dei Massoni, e che trovandosi nella truppa francese col
grado di capitano concorse all'occupazione militare di Napoli. Io accennai
sopra il passaggio per questa di
Caltagirone nel passato aprile di don Giuseppe Abela suo fratello, e la
promessa d'istruzioni a carte fatta a questi fanatici per organizzarsi. Avvenne
che in maggio si portò in Siracusa il chierico don Pietro Interlandi per la sua
sacra ordinazione. Questi a nome degli amici di Caltagirone sollecitò la promessa;
ma siccome don Gaetano Abela non aveva
pronte le carte, si convenne che l'avrebbe portato lui stesso in Lentini in un
giorno designato, purchè avesse ivi trovato gli amici. Saputa qui la risposta
di Abela, si fissò di mandare il padre Michelangelo, il quale conferì in
Lentini con don Gaetano Abela, ebbe da lui un libretto d'istruzioni, e di più
il manoscritto sedizioso per leggerlo in Caltagirone e restituirlo. Qui infatti
si cominciò a leggere in una adunanza di otto amici, ma non erano tutti della
istessa malizia e pravità, onde lo scritto fu disapprovato. Il padre
Michelangelo ne fece copia per sè, e passò l'originale a don Pietro Interlandi,
da cui l'ebbe don Ignazio Aprile, il quale se lo trattenne, e per ciò si disse
essere stato bruciato. Tutti i passaggi che ho riferito, hanno in processo le
loro prove. Vi sono le confessioni di don Giuseppe Abela, di don Pietro
Interlandi, del padre Michelangelo e di altri tre di coloro che l'intesero
leggere e lo disapprovarono. Vi sono di più le deposizioni del vetturino, che
portò in Lentini il padre Michelangelo, del locandiere di Lentini e del suo
garzone: e finalmente vi è la confessione dell'istesso don Gaetano Abela, che
ha riconosciuto la copia del manoscritto, fatta dal padre Michelangelo e
rinvenuta fra le sue carte, essere perfettamente conforme all'originale da lui
composto, e l'ha controsegnata con la sua firma di pagina in pagina....".
Circa le misure
adottate dal Governo, è lo stesso Franco ad indicarcele in alcuni suoi Ricordi autobiografici. Il Franco, come
abbiamo già indicato, oltre ad essere giudice della Curia civile e criminale,
era stato inviato quale Commissario Generale in Caltagirone per scoprire gli
autori e complici di una setta di Carbonari, ivi stabilita, e per individuare
l'autore dello scritto sediziosissimo che attaccava la legittimità della
Dinastia dè Borboni in Sicilia. Dal frammento autobiografico del Franco, il
Labate concluse che i capi vennero condannati all'esilio. Sulla fine di luglio,
infatti, sullo sciabecco di capitan Calogero Giardina, venne imbarcato per
Livorno il pistoiese Sestini, con altri sei esiliati dal Regno delle Due
Sicilie: sac. Luigi Oddo, padre Michelangelo da Polistena, Domenico Lo Preti,
Salvatore Moscato, Antonio Arcurio e Cesare Becciani, ai quali era stata già
"rispettivamente rilasciata l'ordinaria intima dell'esilio per R.
Rescritto dè 31 maggio 1819. Il Labate, in calce alla pagina 22, precisa che: "A questi esuli si riferisce certamente
l'accenno contenuto in una nota di G. Scaramella, Spirito pubblico, società
segrete e polizia in Livorno dal 1815 al 1821, Roma, Società ed. Dante
Alighieri, 1901, p. 61, n. 9, in Bibl. Stor. del Risorg. ital., serie III, n.
3".
Altra fonte che ci
permette, oggi, di conoscere ulteriori notizie sui carbonari polistenesi: fra
Michelangelo, Domenico e Pasquale Lo Prete, è lo scritto di Nino Cortese[3]
che, alla luce di carte dell'Archivio di Stato di Napoli, integrano i documenti
già utilizzati dal Labate. Nella corrispondenza, infatti, tra Carlo Avarna duca
di Gualtieri ed il re, il Cortese ha potuto rinvenire numerose notizie sulle
prime scoperte di carbonari. In seguito ad un'ispezione, in quel di
Caltagirone, erano stati arrestati il sacerdote Oddo e padre Michelangelo da
Polistena.
"A Fra Michelangelo di Polistina erano state
sequestrate le seguenti carte:
"Due libretti in quarto mss. che portano entrambi il titolo di
"Stabilimenti per l'ammissione di un buon cugino carbonaro in grado di
apprendere". - Altro libretto simile intitolato: "Catechismo di un
buon cugino carbonaro in grado di apprendere". - Altro simile intitolato
"I travagli dè buoni cugini carbonari nel grado di apprendente". - Un
mezzo foglio di carta ms. titolato: "1o Assistente per
l'apertura de' travagli". - Altro simile titolato: "1o
grado sublime cavaliere di Tebe, o sia del sangue di S. Teubaldo".
Presso lo stesso Fra Michelangelo si erano
trovate altre carte "sospette":
"Un notamento in cui si descrivono quali
devono essere gli uffiziali della loggia o sia il locale della radunanza, quale
la tavola de' travagli, quale il modo di travagliare ed altro. - Un diploma
spedito ad esso Fra Michelangelo di Polistina dal Padre Vincenzo Conti
fondatore maggiore della rispettabile Carboneria in persona di detto Padre Fra
Michelangelo in terzo grado di cavaliere di Tebe vergato a 26 del sole di
novembre anno della verità 1818. - Un manuscrittu in undici pagine di carattere
del Padre Michelangelo di Polistina che contiene sentimenti rivoluzionari
abominevoli ed empi. Un mezzo foglio manuscritto in cui si legge una
declamazione contro i monarchi e suoi ministri. - Copia del Paternostro
repubblicano".
Il seguente 21 dicembre l'Avarna riferì che
erano continuati gli interrogatori dei due arrestati. Padre Michelangelo dopo
molte insistenze aveva detto che l'originale "rivoluzionario ed
insolente" trovato fra le sue carte gli era stato dato da Giuseppe Abela
di Siracusa, il quale gli aveva detto che apparteneva a suo fratello
Gaetano".
A conclusione
delle indagini condotte dal commissario generale Don Antonino Franco, giudice
della seconda Commissione provvisoria di Palermo, vi furono 28 arresti, (fra
cui il Fra Michelangelo di Polistena), mentre 24 furono i fuggiaschi.
Preziosissimo è il
contributo di Nino Cortese che non ha mancato di riportare le schede dei
principali inquisiti e, tra queste, quelle di Padre Michelangelo di Polistena
(nato, probabilmente nel 1767) e di Domenico Lo Prete (nato, forse nel 1760).
Nella seconda scheda, vi sono notizie relative anche a Pasquale Lo Prete,
fratello di Domenico).
Al n. 5 (da p. 212
a 215) così è quella del frate polistenese:
"Padre
Michelangelo da Polistina de' Minori Osservanti, d'anni 52, lettore di
Grammatica ed Umanità nelle Scuole Normali di Caltagirone. In arresto. Zelante
carbonaro della setta di Caltagirone, che pervenne sino al terzo grado,
indagatore ed apprezzatore di qualunque carta sidiziosa. Nel 1815 fu iniziato
carbonaro dal sacerdote Don Luigi Oddo e diede il giuramento. Insieme con Oddo
s'impegnò a far proseliti in Caltagirone, abusando del suo carattere di
precettore ed apprestando per le adunanze l'ospizio del suo convento, ove egli
solo albergava. In quest'ospizio seguì l'altercazione con Don Michele
Chiaramonte, che non volle compire il giuramento, per cui Oddo, dubitando di
denunzia, partì per la Calabria; ed egli lo richiamò con sua lettera,
avvisandolo ch'era tutto. In dicembre dello stesso anno, essendo arrivato in
Caltagirone Domenico Lo Prete calabrese, ch'era stato ricevuto carbonaro in
Polistina, si manifestò col medesimo d'essere anch'egli carbonaro, e volle
meglio informarsi de' segni e delle parole di riconoscenza. Fu nel congresso
tenuto da Don Giuseppe Abela di Siracusa, allorchè in aprile 1818 passò da
Caltagirone. Quindi, nel seguente maggio, aderendo alla proposta degli amici
settari, si portò in Lentini per trovarvi Don Gaetano Abela e ricevere da lui
istruzioni e carte per l'organizzazione della setta. Siccome il detto Abela,
poco prima del suo arrivo, era partito per Siracusa, mandò per raggiungerlo il
suo vetturino ed il garzone della locanda in cui aveva alloggiato. Quello
difatti tornò e diedegli un libretto che conteneva le istruzioni di massoneria.
Fecegli pure vedere l'infame scritto sedizioso che comincia: "Il primo
stato degli uomini", e finisce: "e più barbara delle cinque precedenti".
Di questo scritto ne lessero assieme alcune pagine; ma, essendo Abela premurato
a partire, egli se lo fece dare per leggerlo interamente in Caltagirone e
rimandarglielo. Con effetto, appena tornato in Caltagirone si diede la premura
di leggerlo nella sua camera e, quantunque ne avesse conosciuta la malvagità,
vedendolo diretto contro la Sacra Persona ed i sacri dritti del Re, Nostro
Signore, pure la sera stessa lo portò in casa del barone di Camemi per farlo
noto ai suoi amici settari, ch'erano ivi riuniti. Lo cominciò a leggere; ma
perchè non aveva chiara la pronunzia e troppo lungo era lo scritto, gli diede
una scorsa Don Ignazio Aprile anche saltando molte pagine, a fine di scoprirne
l'oggetto. I più degli astanti, non del tutto depravati, lo rigettarono; ed
egli, il frate, desideroso di possederlo, diedesi la pena di farne copia di suo
carattere. In questo tempo lo fece leggere al reggente Mineo ed al barone di
Camemi, che a tal fine si portarono in sua camera. Restituì quindi l'originale
a Don Pietro Interlandi, da cui l'ebbe Don Ignazio Aprile, ed intanto scrisse
ad Abela che le sue carte non si erano volute accettare. Questi rispose con
espressioni allegoriche che mostrano la secreta intelligenza che vi era fra
loro. Premuroso di rinnovare la Carboneria in Caltagirone, fece venire da San
Michele il sacredote Oddo, che soleva ogni volta albergare nel suo ospizio, cui
mostrò un catechismo che aveva ricevuto da Don Salvatore Interlandi; e
quantunque Oddo, ricordandosi del fatto di Chiaramonte, non si fosse allora
prestato, egli pure unitamente al barone di Camemi e reggente Mineo associarono
diverse persone e combinarono la maniera di tenere le unioni e di eseguire i
cosi detti "travagli", facendo uso delle loro antiche nozioni, del
riferito catechismo di Carboneria e dell'altro di Massoneria ricevuto da Abela.
Venuto in ottobre il poeta estemporaneo Sestini, gli si fece amico, come pure
col dentista sedicente Orazio Leone, e non tardò a manifestarsi carbonaro,
entrando in discorso di Carboneria. Intervenne nei due congressi tenuti in casa
del barone di Camemi, anzi davasi la premura di farne avvisati i compagni. In
uno di questi congressi prestò in ginocchio il nuovo giuramento alla presenza
de' tre carbonari Sestini, Leone e Oddo, avendo avuto l'impiego di primo
assistente. Applaudì cogli altri alla prosa recitata da Sestini in favore delle
repubbliche e contro il governo monarchico; e, siccome aveva Sestini, una carta
che conteneva i segni per distinguere i Calderari contrari ai Carbonari, fu
sollecito di farsene la copia. Dovendo partire per Terranova il dentista Leone
e l'oculista dottor Fasani, gli fece lettera commendatizia per il calabrese
Domenico Lo Prete colà residente, avvisandolo d'essere ambidue carbonari. Egli
intanto, informato da Oddo che, raccogliendosi oncie venti, si sarebbe fatto
venire in Caltagirone il padre Conti, di grande autorità nella Carboneria, usò
tutti i suoi mezzi per riuscirvi. Diedesi anche l'impegno di far comparire bene
addestrata la società di Caltagirone; a quale oggetto, tenuti più frequenti i
congressi e preparati tutti gli emblemi della setta, tolse alle istituzioni la
parte d'ognuno, a seconda del proprio impiego, e la scrisse in diversi pezzetti
di carta, che ogni volta distribuiva per farla più facilmente imparare. In
novembre giunse il padre Conti in compagnia del dentista, e furono alloggiati
da lui nell'ospizio. Vi alloggiò pure Oddo, che venne l'indomani. La Carboneria
era quasi sempre il soggetto dei loro discorsi; e siccome aveva il padre Conti
istruzioni e catechismi relativi alla stessa, così egli con molta pazienzasi
diede a farne le copie. Dissegli il padre Conti che dovevano tutti ratificare
il giuramento nelle sue mani per essere promossi al grado di
"maestro", ed egli ne passò l'avviso a chiunque vidde de' soci. La
funzione si fece nella di lui camera da ciascheduno separatamente, compreso
lui, che pure rinnovò il giuramento, ricevendo così il secondo grado e la
corrispondente istruzione tratta dal catechismo. Due congressi si tennero in
casa del barone di Camemi, onde mostrare il loro addestramento nell'eseguire i
travagli. Era la stanza ordinata con tutti gli emblemi della setta, ciascheduno
al suo posto, ed egli, come primo assistente, stava seduto vicino l'ingresso
con tavola innanzi a sé e per emblema una scure di latta. Sopraggiunse il padre
Conti accompagnato dal dentista, il quale, avendo bussato la porta alla maniera
dei carbonari, fu ricevuto colle cerimonie e riti prescritti dalle istruzioni,
e si diede principio ai travagli. Tutto meritò la compiacenza del padre Conti.
Si fissò da costui il titolo di quella vendita chiamandola "I vigilanti
all'Ordone di Caltagirone", e si designò il gallo per insegna. Quindi
diedero tutti altro giuramento. Fu promosso dal padre Conti al terzo grado di
Carboneria, o sia primo simbolico, e fu informato dei segni, toccamenti e
parole "d'alta luce" corrispondenti a tal grado; come pure ebbe dato
il diploma che attestava la dignità a lui conferita. Non ebbe però il
catechismo del terzo grado, in cui si contiene la diversa spiega degli emblemi
della setta. Partito il padre Conti, intervenne egli in altri due congressi che
si tennero in casa del barone di Camemi. Fu poi arrestato il giorno 9 dicembre,
e nella sua camera furono trovate dagli uffiziali di giustizia diverse carte.
altre sediziose, altre relative a setta: le quali, annotate nella collaterale
colonna, mostrano il suo genio torbido e pravo".
Al n. 12 (pag.
217), l'altra scheda:
"Domenico
Lo Prete di Polistina e [sic] dal 1816 abitante in Terranova, ora fa il caffettiere,
d'anni 49. Fu al servizio francese nella guerra di Spagna e nella campagna di
Mosca. Servì sotto l'occupazione militare in Napoli, e fu nell'ultima campagna
d'Italia contro le armi imperiali austriache. Antico carbonaro calabrese, che
fece de' soci in Terranova. Cessata l'occupazione militare di Napoli, si portò
in Polistina sua patria, ove da suo fratello Pasquale Lo Prete[4] carbonaro e che aveva impiego nella setta,
fu iniziato nella Carboneria avendo prestato il giuramento. Dopo lo scioglimento
dell'armata passò in Sicilia e fece conoscenza in Caltagirone col padre
Michelangiolo fratel cognato del di lui fratello. Si manifestarono entrambi
carbonari; tennero discorsi di Carboneria; ma egli poi partì per Terranova.
Verso la fine dello scorso ottobre 1818 ebbe lettera dal padre Michelangiolo,
in cui gli raccomandava un dentista ed un oculista designandoli per due
carbonari, e tali egli, li riconobbe per i discorsi. Tutti e tre insieme
iniziarono Don Giuseppe Cattuti, facendogli dare il giuramento e firmare una
carta, in cui eravi delineata la Croce. Partiti il dentista e l'oculista,
strinse amicizia con Don Biagio Cucurullo positanese, che anch'egli era
carbonaro ed aveva un catechismo. Quindi egli, Cucurullo e Cattuti, premurosi
di fondare in Terranova una Vendita di Carboneria, iniziarono Don Saverio
Moscato, Don Vincenzo Morelli, Don Angelo Avvocato. Ognuno di essei prestò il
giuramento, e la funzione facevasi in una camera segreta della sua bottega di
caffè. L'avere inteso dopo pochi giorni l'arresto in Caltagirone del padre
Michelangiolo non gli fece compire il numero di sette carbonari, quanti ne
abbisognano per fondare una Vendita".
Alla luce dei su
esposti documenti, è chiaro che, a Polistena, già prima del 1815, operò una
"Vendita" di carbonari cui aderirono, tra gli altri, i due fratelli:
Pasquale e Domenico Lo Prete che affiancarono, probabilmente, Domenico Valensise,
di Michele Maria e di Eugenia Gagliardi, nato a Polistena il 28 marzo 1791, che
varie fonti, tra cui Vincenzo De Cristo[5]
non mancarono di indicarlo, quale “capo della carboneria” o “carbonaro
repubblicano”. Per formare una "Vendita", come si sa, era necessaria
la presenza di almeno 7 persone. Non conosciamo, al momento, i nomi di tutti
gli altri adepti carbonari polistenesi. Nel settore "polizia",
l'azione del Governo fu soprattutto rivolta alla lotta contro le società
segrete: Massoneria, Carboneria e setta dei Calderari. Alla Carboneria
polistenese che aspirava ad un regime costituzionale, avranno aderito non solo
elementi della borghesia terriera, ma anche del ceto intellettuale. Ma di
questo ci occuperemo in altra sede.
[1] A. FRANGIPANE, Francesco Jerace. Messina, La Sicilia, 1924, pp. 7-8.
[2] V. LABATE, Un decennio di carboneria in Sicilia (1821-1831), narrazione storica di Valentino Labate. Roma-Milano, Società Editrice Dante Alighieri di Albrighi, Segati & C, 1904, pp. 1-25.
[3] N. CORTESE, L'Abela e la carboneria siciliana nel 1819, in "Nuovi Quaderni del Meridione" A. IX - N. 34 - Aprile-Giugno 1971, pp. 206-228. Ringrazio, per avermi concesso copia di tale scritto, l'Avv. Raffaele Bonsignore, Segretario Generale della Fondazione Banco di Sicilia di Palermo, nonchè il personale addetto alla Biblioteca della stessa.
[4] Potrebbe trattarsi di Pasquale Loprete, di Pietro e di Cutano Costanza, morto a Polistena il 24 maggio 1867. Di Domenico Lo Prete, invece, non figura, nei registri dello Stato Civile di Polistena, alcuna registrazione di morte. E' ipotizzabile che lo stesso potesse essere rimasto in Sicilia ove, probabilmente, morì.
[5] V. DE CRISTO, La caduta di Gioacchino Murat e l'insurrezione della Calabria ulteriore nel 1815 poste in luce su documenti inediti per Vincenzo De Cristo. Cosenza, Tip. della "Cronaca di Calabria", 1905.
Pubblicato in L'ALBA DELLA PIANA, Agosto 2018, pp. 13-16.
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